giovedì 20 aprile 2017

LIBRI




















LINGUA VENETA o DIALETTO VENETO?


Il veneto è una lingua Indo-Europea, Italica, Romanza, Occidentale.
La lingua veneta è riconosciuta con identificativo ISO 639-3 “vec” dall’UNESCO e classificata fra le lingue viventi nel catalogo EthnologueEthnologue è l’elenco delle circa 6700 lingue parlate in 228 Stati, classificate secondo un sistema di oltre 39000 nomi di lingue, nomi di dialetti e nomi alternativi di essi. L’Ethnologue contiene anche un indice delle lingue organizzato secondo le famiglie e ceppi linguistici.
La lingua veneta si stima essere parlata da circa 3.500.000 persone delle quali:
  • 2,109,502 in Italia (secondo i dati del 1976),
  • 100.000 in Croazia e Slovenia (dati 1994 Tapani Salminen);
  • e 1,210,000 negli altri stati del Mondo, soprattutto in Brasile.
Il veneto, come tutte le lingue, si compone di diversi dialetti, che si sono formati per conseguenza di vicende storiche e politiche (ad es. come l’imposizione di una lingua ufficiale da parte della Serenissima Repubblica), vicende umane (emigrazione ed immigrazione) e geografiche (influenze reciproche fra lingue diverse). Va sottolineato che per i linguisti non esiste una netta distinzione fra lingua e dialetto, e noi intenderemo per lingua un insieme di sistemi linguistici (chiamati dialetti o varianti) altamente intelleggibili tra loro.
I dialetti della lingua veneta possono essere così classificati:
  • Occidentale  (Veronese, Trentino)
  • Centrale (Vicentino, Padovano, Rodigino)
  • Orientale (Trevigiano, Liventino, Pordenonese)
  • Settentrionale (Agordino, Bellunese, Primierotto, Cenedese)
  • Lagunare (Chioggioto, Pellestrinotto, Buranello, Veneziano, Caorlotto, Maranese, Gradese)
  • Veneto da Mar (Bisiacco, Triestino, Istriano, Fiumano)
  • Veneto da Oltremar (Talian, Pontino)

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Storia

La lingua veneta si forma dall’evoluzione del latino parlato nell’area di sostrato venetico, dal lago di Garda al fiume Isonzo.
Nell’Alto Medioevo si diffonde presto a tutte le coste dell’Alto Adriatico a scapito dell’istrioto. Nell’entroterra della Venezia riceve notevoli influssi germanici e cede alle parlate carniche e slave nella pianura friulana.
Nel Medioevo con l’istituzione e l’espansione della Repubblica Veneta il veneto diventa la base della lingua franca per i commerci nel Mediterraneo. Il veneto viene parlato da comunità di mercanti in tutta la costa dalmata, in Albania, Creta, Cipro ed altre isole greche. La Repubblica di Venezia, che è durata oltre mille anni, non ha mai imposto una lingua ufficiale nei territori controllati, sia in virtù della forte ispirazione federalista della sua amministrazione sia per la molteplicità delle popolazioni coinvolte che andavano dalle isole dell’Egeo alla profonda pianura padana. Questa mancanza di modello standard ha dato luogo anche nella stessa Venezia a fenomeni di vario tipo, compresa l’influenza dell’italiano, che nella letteratura locale ha conosciuto un certo successo, pur senza diventare predominante fino all’imposizione ufficiale da parte dell’Impero Asburgico. Precedentemente si era sviluppata una ricca letteratura franco-veneta nell’entroterra, ed ancor prima si era vissuta la fioritura di una letteratura “pavana”, andata poi scomparendo. Detti fenomeni non sono comunque stati in grado di erradicare la LV, che risulta ben attestata fin dal 1300: esistono testi che dimostrano la sussistenza della koiné veneta fin dall’epoca di Dante nonostante le varie influenze (si veda per esempio la Cronaca de la guerra tra Veniciani e Zenovesi di D.Chinazzo, 1386).
Nel Rinascimento è una lingua diplomatica usata in tutta Europa, dall’Inghilterra, alla Russia, all’Armenia. E’ lingua ufficiale da Bergamo a Udine, in Istria e nei territori della Repubblica. Rimane lingua dei commerici marittimi.
La caduta della Repubblica Veneta nel 1797 mette fine all’importanza diplomatica del veneto che perde anche il riconoscimento di lingua ufficiale a scapito dell’italiano nelle successive entità statali.
La diffusione dei giornali, soprattutto in lingua italiana o tedesca, porta la borghesia veneta ad utilizzare l’italiano.
La massiccia emigrazione (oltre 3 milioni di persone in un secolo) avvenuta a seguito dell’annessione al Regno d’Italia nel 1866 ha portato la lingua veneta oltreoceano, dove viene ancora parlato da una nutrita comunità nel sud del Brasile ed in Messico. In una ricerca imparziale, si scoprono a volte curiosità sorprendenti, come lo studio di Mackay, C. J. (1992) titolato “Language maintenance in Chipilo: a Veneto dialect in Mexico” (trad “Il mantenimento del linguaggio a Chipilo: un dialetto veneto in Mexico” ) pubblicato nell’International journal of the sociology of language 96: 129-145.” come accertata è l’esistenza di isole linguistiche della lingua veneta nell’america del sud. Tali isole o influenze della lingua veneta sono ravvisabili anche in zone più vicine come evidenziato in “Di qualche tratto «veneto» nell’italiano regionale bergamasco” scritto da Berruto, Gaetano (1983).
La scuola dell’obbligo in lingua italiana inizia dal 1915 il processo di assimilazione linguistica della comunità veneta. Il veneto viene considerato un “dialetto dell’italiano” e bandito dalle scuole, usanza in voga a tutt’oggi.
Il regime fascista sostiene l’italianità, utilizzando anche libri di testo bilingui veneto-italiano per insegnare l’italiano. Le bonifiche di epoca mussoliniana hanno poi aiutano il veneto a diffondersi nell’Agro Pontino ed in Sardegna assieme ai coloni prevalentemente veneti, dove viene ancora parlato.
L’esodo istriano postbellico riduce molto la presenza della lingua veneta in Istria, che ora viene parlata da ridotte comunità nei centri costieri.
Negli anni ’50 la diffusione della televisione e dei mezzi di comunicazione al grande pubblico intensifica l’opera di assimilazione linguistica: il veneto è pressoché inesistente nelle televisioni italiane, a differenza di altre lingue come lombardo, napoletano, romano, siciliano o toscano, che vengono comunque trattate come fossero dialetti della lingua ufficiale.
Negli anni 1960-70 alcuni studenti iniziano a sollevare il problema della sostituzione linguistica del veneto con l’italiano, soprattutto a seguito della sostenuta immigrazione dal sud Italia e si inizia a parlare dei diritti della comunità linguistica veneta. 
Nel 1971 lo statuto della Regione Veneto viene approvato con procedura costituzionale. All’articolo 1 viene riconosciuto il “popolo veneto”, primo passo per il riconoscimento dei diritti culturali e linguistici dei veneti.
Negli anni ’80 le istanze della comunità linguistica veneta vengono sostenute da alcuni movimenti politici, in primis la Liga Veneta.
Secondo gli ultimi dati ufficiali noti, nel 1992 l’ ISTAT riportava che il 52% dei residenti in Veneto continuava a parlare la lingua dei propri antenati. Più della metà della popolazione della Regione Veneto quindi, a quella data non si esprimeva normalmente nella lingua ufficiale dello Stato Italiano.
Nel 1995 si ha il primo tentativo di definizione della grafia da parte di una commissione istituita dalla Regione Veneto che non si conclude.
Nel 1998 entrano in vigore in Italia la “Carta Europea per la Minoranze Linguistiche” del 1992 e la “Convenzione Quadro per la Protezione delle Minoranze Nazionali” del 1994.
Nel 1999 il comitato Rinassimento Veneto fa la prima richiesta ufficiale di applicazione dei diritti linguistici alle istituzioni italiane come minoranza (collegamento).
Nell’ultima decade l’uso della lingua veneta si è mantenuto anche tra le nuove generazioni (nonostante la mancanza di riconoscimento, insegnamento e protezione) soprattutto grazie alla diffusione di internet, che ha permesso la nascita di blog e siti dedicati alla lingua e alla cultura veneta.
Nel 2002 nasce l’Associazione culturale Veneto Nostro, che in pochi anni diviene il centro dell’associazionismo linguistico e culturale veneto grazie alla pubblicazione di un giornale completamente in lingua veneta e all’organizzazione dell’annuale Festa dei Veneti.
Nel 2009 la Regione Veneto istituisce una seconda commissione per la grafia che non approva una risoluzione definitiva.
Nel 2013 il Comune di Limena approva una delibera per richiedere alla Regione l’applicazione dei diritti di minoranza nazionale al popolo veneto, compreso il diritto di bilinguismo ufficiale veneto/italiano.
Nel 2014 nasce l’Istituto Lingua Veneta, ente autonomo di riferimento per la lingua veneta, grazie ad un progetto partecipato da diverse associazioni culturali. Il primo obbiettivo è la definizione di una grafia standard per il veneto, di una grammatica e di un dizionario.


Illuminante sulla storia della lingua veneta è l’intervista fatta da Carlo Pizzati a John Trumper, linguista esperto di veneto di cui si riportano alcuni estratti tradotti. Il Professor Trumper, è un esperto e rispettato linguista di origine gallese, che insegnava (al momento dell’intervista) alla Università di Cosenza (Italy), ma ha anche insegnato per diversi anni a Padova. Trumper è uno dei più riconosciuti linguisti di Veneto, e ha scritto diversi libri sulla lingua della Repubblica di Venezia. Capace di parlare anche il celtico e per questo in polemica con alcuni politici, ecco un pezzo di intervista a Trumper.
“D: Professor Trumper, lei si acciglia riguardo alle origini Celtiche, quali sono quelle dei veneti ?
R: Quelle sono più certe. Esiste un territorio, una storia comune, quella della ‘Serenissima,’ e una lingua, il Veneto. Ma se “Veneto” è dove la lingua Veneta era parlata, allora il suo confine deve essere espanso fino a dentro l’Emilia-Romagna, e tutto lungo il fiume Adda, dove molti dialetti di Brescia e della provincia di Mantova sono influenzati dalla lingua veneta, mentre, da altra parte, il dialetto di Verona ha alcune radici lombarde ed è stato poi “venetizzato”. A Est, il veneto era parlato in Istria (ora Croazia) e in Dalmazia (ora Croazia), dove la lingua dalmata ha origini dirette dalla lingua veneta.
D: Ma il veneto è una lingua o un dialetto?
R: Non c’è assolutamente nessuna differenza fra lingua e dialetto, perché ciascuno dei due può divenire l’altro. Dall’ottavo secolo dopo Cristo fino alla invasione di Napoleone nel 1797, il veneto era la “lingua veneta”. Quando la ‘Serenissima’ iniziò a scrivere documenti ufficiali e legali in Veneto, era implicitamente riconosciuto che la lingua Veneta era una lingua. In quel periodo c’erano 3 lingue o dialetti presenti nel territorio Veneto: il dialetto “Veneto Aulico-Veneziano” , il dialetto “Toscano con forti influenze Venete” ed il Latino, che comunque sopravvisse solo fino al 1600. Dopo di allora rimasero solo il Toscano ed il Veneto parlato in Veneto, che non ha nulla ha che vedere con il Venetico, un dialetto Italiano con radici Indo-Europee parlato dai Venetici.
D: Ma ha smesso di essere una lingua?
R: Quando Napoleone prese Venezia e la diede all’Austria. A quel punto il veneto non fu più considerata una lingua ma un dialetto. La lingua ufficiale in Veneto divenne il tedesco dell’Austria, ed il veneto divenne “un dialetto della lingua tedesca-austriaca parlato nelle regioni del sud dell’impero [..]
D: Così, non solo la storia è scelta dai vincitori ma anche la lingua.
R: Possiamo dire così. Ma anche Venezia fece lo stesso in Veneto. Allora c’erano due ceppi linguistici, il veneto parlato nell’area di Treviso, ed il veneto parlato in quelle che sono oggi le province di Padova, Rovigo e Vicenza. Venezia creò, e possiamo usare questa parola, una lingua Ufficiale; molti considerano questo veneziano ufficiale del veneto come la toscanizzazione della lingua Veneta, ma non è veramente così. Si tratta invece di una mescolanza di molti elementi di diversi dialetti.[..]”




Uso attuale

Nonostante la mancanza di recenti ricerche e dati ufficiali, possiamo dire che il veneto rimane oggi lalingua madre della maggioranza della popolazione sul territorio che va dal Garda fino alle Alpi Giulie passando per la costa dell’Alto Adriatico.
Secondo la classificazione nell’“Ethnologue”, l’uso attuale della lingua è “vigoroso” . Oltre che mantenersi nell’uso quotidiano, il veneto è utilizzato sempre più nell’arte contemporanea (musica, teatro, cinema) e sta vivendo un recupero anche nelle isole linguistiche oltre oceano (Rio Grande do Sul).
Il veneto è usato anche in diversi siti Internet, e data l’età media dei “naviganti internet” (25-35 anni) questo indica la vivacità anche nelle nuove generazioni. Non è difficili imbattersi nelle strade del veneto in punk, grunge, rocker che parlano veneto.
L’esistenza del veneto e la sua permanenza è stato affrontato da Laura Vanelli nel testo “Italiano e veneto nella scuola (e fuori)” in “La lingua italiana oggi: un problema scolastico e sociale”, Bologna, Il Mulino (1977), come il problema di un bilinguismo da affrontare, visto prima della sua protezione giuridica avvenuta con la sottoscrizione dei “Patti” sui diritti civili e politici (L.n.176/’91).
I dati confermati dall’Istat a distanza 16 anni da quelli del l’ultimo rilevamento dell’“Ethnologue”, dimostrano che quei 2.109.502 del 1976 sono costanti o addirittura aumentati nel 1992 al 52%dei 4.700.000 abitanti del veneto, ed infatti in certe zone essi sono la totalità dei parlanti, dimostrando che il fenomeno della lingua veneta non è né passeggero né in diminuzione,soprattutto lì dove precise origini e fatti storici ne danno una dimostrazione di persistenza.
Stefano Mazzano nel “il dialetto Veneto” in estratto all’indirizzo http://www.mpbnet.it/edu/mogliano/dialet/dialt1_1.htm riporta che
“anche l’interlocutore che parla italiano di fronte ad un dialettofono si sente a disagio: da una ricerca effettuata nel 1986, relativa soprattutto alla realta’ veneta (G. MARCATO, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, VIII, Padova 1986, p.155-202), risulta che l’italiano crea talvolta sfasature anche pesanti tra gli interlocutore. [..] Eppure il “dialetto” in Veneto e’ una presenza costante, una lingua viva di comunicazione alla quale quasi nessuno e’ estraneo; boccheggia ma non affoga, perche’ il processo di morte del “dialetto” e’ quantomai complicato. [..] Un ‘sano’ bilinguismo (cioe’ un bilinguismo accettato, riconosciuto e voluto), capace di esprimere padronanza del dialetto quando si vuole, e dell’italiano quando si vuole, e’ forse la migliore condizione linguistica augurabile[..].”


Riconoscimenti ufficiali

Italia – Il veneto è riconosciuto come lingua dalla Regione Veneto dal 1999, ma non è riconosciuto dallo Stato Italiano che ne è competente. Non vengono quindi applicati i diritti di minoranza linguistica alla comunità venete residenti in Italia.
Il problema della lingua veneta è stato recentemente sollevato nella conferenza “Lingua internazionale Fundapax”.
Il 18 giugno 1998 Vittorio Sgarbi ha lamentato che la proposta di legge in corso per le minoranze linguistiche, vede escluso il veneto (la lingua veneta), ma che questo non significa che essa non esita. Da una notizia ANSA si riporta che Vittorio Sgarbi, con due lunghi interventi, ha spiegato le ragioni per le quali, in base all’impianto del progetto di tutela (delle minoranze linguistiche), la tutela andrebbe estesa anche alla lingua veneta , mentre Mario Tassone (CDU-CDR) ha sottolineato il rischio che il provvedimento alimenti spinte centrifughe che non vanno nella direzione di una evoluzione reale della difesa delle diverse culture. A mio avviso una negazione di diritti umani di tale livello, in contrasto all Costituzione, trasformerebbe legittime istanze di convivenza in istanze separatiste e di rifiuto dell’altro, dato che l’altro si è rifiutato per primo in maniera. Antonio Bisceglie (DS) ha sostenuto che ‘La legge vuole cogliere una grande ricchezza umana, sociale, culturale della nazione, una risorsa da valorizzare, non un peso o una presenza ostile”
Brasile – la variante brasiliana della lingua veneta, il talian, è riconosciuto dallo Stato Federale del Rio Grande do Sul dal 2012 e dallo Stato del Brasile dal 2014. Il talian verrà insegnato a scuola nelle comunità venete originarie.
Croazia, Grecia, Messico, Romania, Slovenia – nessun riconoscimento e tutela.


Istituzioni e minoranze linguistiche: il punto di vista internazionale.

Molti testi ed istituzioni promuovono le minoranze linguistiche. Il trattato dell’Unione Europea (trattato di Maastricht, 1992), menziona la diversità culturale e linguistica degli stati membri (Art. 126) ed impegna al rispetto della diversità nazionale e regionale nell’articolo 128 (Culture) nei vari aspetti educativi, formativi e nella gioventù.
La Commissione Europea attraverso la Direzione Generale XXII gestisce un budget per le minoranze linguistiche e culturali; essa sovvenziona iniziative per la promozione e la difesa delle minoranze linguistiche della Unione Europea, sia a livello Europeo come presso l’”ufficio Europeo per le lingue meno comuni” ed il network di informazione “Mercator”, sia in specifici progetti di diverse comunità linguistiche.
Il Parlamento Europeo (http://www.europarl.eu.int/welcome.html) a un commissione mista per le Minoranze Linguistiche fin dal 1983. La commissione è composta di membri di quasi tutti i gruppi politici nel parlamento e si riunisce ogni mese. Il Parlamento Europeo emanato diverse risoluzioni in favore delle minoranze linguistiche regionali, come la risoluzione Arfé del 1981 e del 1983, la risoluzione Kuijpers del 1987, il rapporto Killilea del 1994.
Il “Consiglio d’Europa” (http://www.coe.fr/tablconv/157t.htm) riconosciuto dalla L.n.848 del 1957, ha adottato nel 1992 la “Carta Europea” per le minoranze linguistiche” regionali. Dopo cinque ratifiche la carta è entrata in vigore il primo marzo 1998.
Nel 1994, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato una Convenzione Quadro per la “Protezione delle minoranze nazionali” dopo dodici ratifiche la convenzione è entrata in vigore il primo febbraio 1998.
L’Ufficio Europeo per le lingue meno parlate” ha acquisito di organo consultivo con il Consiglio d’Europa in 1998.
L’ UNESCO, anche se non una istituzione Europea, è aggiunta alla lista per le sue azioni in favore dei diritti umani. Dopo la emanazione della “Dichiarazione dei diritti della persona appartenente a Etnie Nazionali, Religiose e a minoranze linguistiche” (Risoluzione 47/135 del 18 Dicembre 1992), adottata anche dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite , una nuova dichiarazione dei diritti linguistici è stata scritta per affermare i diritti linguistici per affermare la uguaglianza di tutte le lingue e la falsa distinzione fra lingua naturale e collettiva.
Si deve ricordare come gli Stati (compresa l’Italia) sono obbligati a rispettare i diritti del fanciullo che cresce in una minoranza linguistica culturale in modo che l’educazione impartita rispetti la differente cultura insita in ogni lingua, la qual cosa non può avvenire se non garantendo al fanciullo la possibilità di crescere in un ambiente dove, in maniera paritaria, gli sia permesso di usare i differenti idiomi (della famiglia/comunità e dello Stato) nelle relazioni sociali, nella formazione, nell’educazione, nei mass media.
Lo Stato Italiano, sia con lo Statuto della Regione Veneto, sia con numerose successive convenzioni, si è impegnato ed è obbligato, a rispettare la lingua veneta come autonoma, storicamente determinata, appartenente ad una specifica comunità territorialmente insediata già prima della sua stessa esistenza (profilo storico culturale), usata in maniera predominante quale lingua autoctona.

Lo sapevate che?

  • la vittoria dei romani su Annibale fu per merito dei soldati Venetiromeinen
  • i Veneti hanno salvato Roma per ben tre volte, due volte contro i Galli e la terza nella loro guerra civile
  • a scrivere la storia di Roma fu un Veneto, Tito Livio
  • la prima nave con cannoni laterali fu la “GALEASSA” dei Veneti
  • a Treviso si trova il testo di algebra più antico al mondo “L’ABACO”
  • il gioco del calcio veniva praticato nei territori della Serenissima già da XV° secolo e che esisteva un vero e proprio campionato
  • anche il gioco del tennis veniva già praticato nel XV° secolo
  • il simbolo @ fu inventato dai veneti nel XVI° secolo per questioni commerciali
  • i fratelli Zeno scoprirono l’America prima di Colombo e quest’ultimo fece uso di meppe venete per raggiungere le Americhe
  • la prima donna laureata al mondo fu Elena Cornaro, nata nel 1646
  • Il canale di Suez fu pogettato da Veneti nel XVII° secolo
  • la costituzione e la giustizia in USA è dichiaratamente ispirata alle leggi della Serenissima – Benjamin Franklin si intrattenne a Venezia per quasi un anno
  • il primo orologio a ingranaggi fu fatto a Padova
  • il pianoforte fu inventato a Vicenza nel XIII° secolo
  • la parola più diffusa al mondo “CIAO” è di origine veneta perché deriva da “sciavo vostro”… poi “sciavo”… poi “ciao”
  • Pietroburgo fu fatta da due architetti veneti
  • Galileo Galilei, per sfuggire all’inquisizione si rifugiò in Veneto
  • la parola “VENETO” vuol dire “POPOLO MITE”
  • gli “schiavoni” o “sciavoni” erano dei soldati Dalmati e Istriani al servizio di Venezia
  • molti tra i più grandi artisti del Barocco e del Rinascimento erano Veneti (vedi VENETI DI IERI E DI OGGI)
  • le campane suonano a mezzogiorno per la vittoria dei veneti contro i turchi nella battaglia navale di Lepanto del 7 ottobre 1571 dove fu fermata l’avanzata islamica verso il continente europeo
  • il famoso “Galateo” fu scritto nell’abbazzia di San Eustachio del Montello a Treviso
  • Istria e Dalmazia sono venete, non italiane
  • Cipro si chiamava “Famagosta” ed era veneta.

venerdì 17 febbraio 2017

Il FILO' del giovedì - TVA VICENZA 2016-17

I VIDEO de "IL FILO' del giovedì sera" su TVA VICENZA:

COSTUMI e TRADIZIONI DI UN TEMPO






Giovedì 30 Marzo 2017 (Primavera, Cartoline di un Tempo)


Giovedì 23 Marzo 2017 (el Magasin, Zughi de na Volta)


Giovedì 16 Marzo 2017 (Quaresima, i Santi, S.Giuseppe)


Giovedì 09 Marzo 2017 (i Mestieri: Caregaro, Moleta, Ombrelaro; el Matrimonio)


Giovedì 02 Marzo 2017 (Capodanno Veneto, Risi e Bisi, 100° Voto alla Madonna de Monte Berico, Battimarzo e Brusamarzo)


Giovedì 23 Febbraio 2017 (Carnevale, Va a Ciùpese, Zuppa di Verze co la Luganega, Venere Gnocolaro)



Giovedì 16 Febbraio 2017 (L'Orto: Pissacan Ciochi Brocoli Fiolari e de Bassan e Radecio, la Villa secondo il Palladio, la Dispensa di Jacopo, Carota Bianca, Zuche, Peri)







Giovedì 15 Dicembre 2016 (El Fredo: la Stua, le Bronse, la Monega, le Sgalmare, la Stua, Museo Civiltà Contadina di Grancona)














Litografie di Galliano Rossett

domenica 11 ottobre 2015

Il TEMPO Contadino

Nel seguire queste tracce, si arriva a percorrere una piccola storia locale che sollecita a sbirciare tra i prodotti dei campi e del cortile e i cibi preparati, elaborati, consumati, vissuti e pensati. Ne emerge una successione ciclica di cibi che si andavano ripetendo ogni anno durante i periodi freddi e caldi, secchi e piovosi, nel momento delle semine o dei raccolti: una realtà immateriale che coincide con quello che ora definiamo tempo e che il contadino era riuscito ad organizzare scandendo stagionalmente feste e cerimonie civili, religiose e popolari, proverbi, fiabe, canti. Un rituale solidale con il fluire ciclico degli eventi agrari, dei ritmi vitali della natura, delle conoscenze astronomiche suggerite dalla ciclicità della luna e degli astri, dalla posizione mutevole del sole, dall'avvicendarsi delle stagioni e dei lavori agricoli. Non solo. Ma anche osservando il ritorno di una data selvaggina, il germogliare di una data pianta o l'aratura di un certo suolo. Questo insieme naturale, concreto, operativo di osservazioni si è andato sovrapponendo fino a tessere l'ordito di un calendario che rappresenta "la massima espressione dello sforzo umano di organizzare il tempo" (Grimaldi, 1993, p. ). In questo fluire si sovrappongono il tempo profano, segnato dalla rinascita delle piante, dalla fioritura degli alberi, dalla maturazione del grano, il tempo sacro, contrassegnato da una trama simbolica segnata da un insieme di culti agrari che hanno consentito all'uomo di organizzarsi in società, e la memoria orale, che rappresentava "uno strumento di conoscenze e informazioni strettamente legate agli usi e costumi, ai comportamenti individuali e sociali, da costituire un punto di riferimento indispensabile per la comprensione della vita e del lavoro dell'uomo" (Coltro, 1980, p.5). 

"Nel fondo dell'animo del contadino resta sempre una religione naturale che aveva due poli: ad un estremo vi è la speranza nella Provvidenza, all'altro, il timore per tutto quanto poteva compromettere i raccolti, la vita delle cose e degli stessi membri della famiglia. Per questo pregavano Dio, i santi e la Madonna e chiedevano loro di salvare i raccolti con una successioni di formule, cantilene, rituali, invocazioni che ricordano talora vecchi culti dal sapore profondamente pagano."
(Sant'Angelo di Piove, Giugno 1961, Carlo, anni 67, maestro elementare)

Lo testimoniano i documenti d'archivio, le vecchie storie che ricordano le previsioni dell'annata agraria, le benedizioni, le preghiere, le processioni, le messe, le sagre, le rogazioni, le questue, i tridui, le abitudini produttive, i proverbi e i cibi che si succedevano nel corso dei mesi in occasione delle varie ricorrenze. E anche i lunari scritti quale "Il lunario del Contadino Poiana Maggiore" che elenca il variare del tempo giorno dopo giorno (tanto che si finiva per dire, el lo gà dito anca el Poiana") e, andando a ritroso i "Pregiudizi degli influssi lunari sulla vegetazione" (1795) di Filippo Re, il "Discorso sopra gli influssi delle stelle"(Modena, 1778) di Padre Vincenzo Cattelan, il "De influxu siderum in corpora terrestria" (1764). E ora c'è pure la società odierna che, nel suo affrettato scorrere, ha finito per corrodere i ricordi dei lunari personali che si erano andati intrecciando agli eventi della vita quotidiana dei singoli contadini attratti dalla logica interna delle diverse fasi lunari, da un proprio pensiero meteorologico evoluto in sintonia con il divenire dell'anno e con alcune feste locali, religiose e profane. 

In Saccisica, l'addomesticamento del tempo e dello spazio ha varcato disinvoltamente i secoli e le epoche. A coniarlo fu l'esperienza di una lunga catena di generazioni che, dopo secoli e millenni, continuano ad essere qui a raccontare una loro storia ricca di tenacia, di pazienza, di una gran voglia di radicarsi e di rimanere stabilendo un contatto fra ieri e oggi. Un ieri in cui ogni lavoro, ogni alba e ogni tramonto erano un'occasione per ritrovare santi e stagioni presenti in una fede diffusa come una macchia d'inchiostro che si disperde, si sposta, scompare e ricompare dal fondo di una spessa carta assorbente con una sua enigmatica trama sovrastata dal sole e dall'osservazione dei ritmi della luna. 
Di questo astro Plinio ( sec) scriveva: 

"Polimorfa, essa ha torturato con il dubbio la mente dei suoi osservatori, incapaci di sopportare che proprio l'astro più vicino restasse sconosciuto; sempre in uguali, ora arrotondata in un disco; macchiata e, di colpo, sfolgorante di luce, sconfinata con il suo cerchio pieno e, d'un tratto, annientata; a volte veglia notti intere, altre volte appare sul tardi, e aiuta la luce del sole per una parte del giorno; in eclisse e tuttavia visibile, a fine mese è celata, ma non si crede a un'eclissi; ora è bassa sulla terra, ora elevatissima, e neppure in modo costante, ma talora accostata alla volta celeste, talora prossima alle montagne, ora alzata verso il nord, ora discesa a sud"
(II, 41-43).

Un periodare che si è andato ampiamente distendendo anche nella vita quotidiana del contadino di questa terra contadina e che ha finito per fornirgli informazioni, suggerirgli un ampio ed articolato sistema di conoscenze di eventi naturali e di rituali, in parte laici, di provenienza nordica (1° febbraio, 1° maggio, 1° agosto, 1° novembre), in parte cristiani (25 dicembre- Natale, 1° gennaio-capodanno, 6 gennaio- Epifania, Assunzione-15 agosto, tutti i Santi-1° novembre, il giorno dei morti-2 novembre), che avvengono in date fisse e che seguono il corso del sole, e con altre feste mobili che alludono alla Passione, Morte, Resurrezione di Cristo e che si riferiscono al corso della luna. La principale festa mobile è quella di Pasqua, che cade dopo il 21 marzo (equinozio di primavera) e avviene nella domenica immediatamente successiva al primo plenilunio primaverile. 

"La prima data possibile per la Pasqua dei cristiani era perciò il 22 marzo, che è la scadenza pasquale più alta, detta in chiave anteriore. Grazie al gioco della luna sull'anno tropico, Pasqua cambierà tra questa chiave anteriore e la sua scadenza più bassa sarà il 25 aprile"
(Gaibagnet, Lajoux, 1985, p. 69, n. 6).

"Nella sua genesi remota, la pasqua si riferiva a un rito ebraico di transumanza che ha lasciato tracce evidenti nella pasqua ebraica codificata nel capitolo 12 del libro biblico dell'Esodo. Tale evento avveniva in primavera, nel periodo di marzo-aprile, ed era vincolato al plenilunio primaverile (il 14 del mese di Nisan)."
(Gorgo, aprile 1959, don Giacomo Zancanaro, parroco dal 1926).

Questa data è l'asse portante del calendario cristiano e condiziona la cadenza del tempo delle feste mobili cristiane che la precedono e la seguono. 
Feste prima di Pasqua: Settuagesima (settima domenica prima della domenica di Passione, 63 giorni prima di Pasqua); le Ceneri (mercoledì, primo giorno di Quaresima; il giorno successivo al martedì grasso, che è l'ultimo di carnevale, 46 giorni prima di Pasqua), prima domenica di Quaresima, 42 giorni prima di Pasqua); domenica di Passione (14 giorni prima di Pasqua); domenica delle Palme o dell'Olivo (7 giorni prima di Pasqua). 
Pasqua di Resurrezione
Festa dopo Pasqua: Ascensione ( domenica, 39 giorni dopo Pasqua; Pentecoste detta anche Pasqua di rose, domenica, 49 giorni dopo Pasqua); SS.Trinità(domenica, 56 giorni dopo Pasqua); Corpus Domini (giovedì), 60 giorni dopo Pasqua. 

"Erano feste mobili anche le quattro tempora (ossia le quattro stagioni) che cadevano nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato, rispettivamente dopo la prima domenica di quaresima, dopo la Pentecoste, dopo il 14 settembre, giorno dell'esaltazione della Croce, e dopo la terza domenica dell'Avvento. L'Avvento era il tempo di preparazione alla festa di Natale e comprendeva le quattro domeniche che precedevano la domenica in cui si festeggiava la venuta del Redentore"
(Collino, 1928, pp. 30-31.

Sono date, feste che, nel loro susseguirsi costringono a sfogliare il proprio archivio mentale e a collaborare alla narrazione ricordando scene viste, canti ascoltati, libri letti, eventi che la vita ha messo sotto gli occhi, cogliendo gli snodi fondamentali che scandivano la penuria e l'incertezza di molteplici vite e il repertorio degli antichi mestieri. Date che guidano come fili preziosi nel labirinto dei ricordi perduti, da cercare con pazienza o come una enorme madeleine dove c'è sempre una briciola per tutti. Anche per chi in Saccisica non c'è mai stato e non ha visto mai niente. Talora sono ricordi intensi, commossi, ironici, surreali, ricchi di rimandi tra il loro passato e un nostro presente sempre più affrettato. Un modo per raccontare i contadini del passato, le loro ansie, gli estri, le passioni, le loro idee del tempo. 

"Non parlavano mai di mesi e settimane; per loro era più "comodo" riferirsi al "tempo", alle "stagioni", intese come "periodi", "momenti". Vi era la stajon de la somena (marzo), la stajon di cavalieri (aprile-giugno), la stajon del tajare el fromento (giugno), la stajon de arare(agosto), la stajon de sunàre el fromenton o la stajon de la polenta (settembre), la stajon del vendemare (ottobre). E all'interno di questi si succedevano altre divisioni quali la quarantia, che il contadino contava mettendo insieme i 28-29 giorni delle quattro fasi di una lunazione e la prima fase della lunazione successiva. Questa successione era considerata dal contadino come una breve stagione, durante la quale si verificava un insieme di eventi atmosferici che erano determinanti per l'andamento dei lavori dei campi. Queste cadenze erano tenute a mente riferendosi ai santi che si veneravano in quel periodo e ricordando un insieme di proverbi che venivano tramandati di generazione in generazione"
(Civè, marzo 1959, Bruno Gallato, parroco dal 1954).

Al loro interno la saggezza popolare suggeriva i giorni del lavoro, i giorni delle feste, i giorni dei presagi e dei proverbi. Tutto ha finito per assumere un significato, un valore, un sapore che ha coinvolto anche la tavola, la cucina, la gastronomia di questa terra contadina che, in fondo, continua a raccontare una vicinanza che il tempo ha trasformato in ricordi. Chi invece aveva la fortuna di frequentare la scuola sape va a memoria una filastrocca in cui si accoppiava la successione dei mesi con un complicato ed astruso andamento del tempo durante le stagioni Gennaio mette ai monti la parrucca (cioè sulle vette delle montagne nevica), / Febbraio grandi e piccoli imbacucca, / Marzo libera il sol dalla prigionia / Aprile di bei fior infiora la via… 

Alcuni termini del tempo meteorologico del contadino

L'Anno 
L'anno del contadino iniziava l'undici di novembre, San Martino (da un San Martin a 'n'altro) e terminava il 10 di novembre dell'anno successivo. 
Nella cultura contadina questo concetto comprende le scadenze e le previsioni dell'annata agraria, gli avvenimenti più importanti dell' anno civile e tutto ciò che riguardava l'anno religioso. 

I comportamenti 
Dalle previsioni scaturiscono gli "insegnamenti" di carattere meteorologico, quindi i "comportamenti" sociali e individuali secondo le "regole" fissate nei detti proverbiali. Spesso, queste "regole" sono smentite dal "tempo" reale, dalle condizioni atmosferiche contingenti, ma la loro validità non muta di valore perché il contadino vi crede in quanto "tramandati", cioè frutto di esperienza antica. Caso mai è il "tempo" che non sta alla "regola"; infatti si dice che "el tempo no l'è pi quelo", non è più quello di una volta; che "no se capisse pi le stajon", le stagioni hanno mutato il loro corso,… 

Estate e inverno 
I contadini tendono a dividere i giorni dell'anno in due grandi periodi, l'istà e l'inverno, il tempo del caldo e il tempo del freddo, la bela e la bruta stajon. Una tale concezione elimina la divisione astronomica del tempo in quattro stagioni e lo stesso termine stajon riassume indissolubilmente il fatto meteorologico in sé e l'andamento della produzione agraria. Così, si chiama bela stajon il periodo di tempo che consente il lavoro e il raccolto; 'na bruta stajon, quella che non offre condizioni normali per attuare il ciclo vegetativo, dalle semine al raccolto. 

Le kalendre 
I primi ventiquattro giorni di gennaio sono chiamati kalendre e sono considerati endegari, indicatori del tempo che si avrà nel corso di tutto l'anno. 
Infatti, i contadini sono soliti trarre dalle condizioni meteorologiche di questi giorni un giudizio per prevedere l'andamento meteorologico del resto dell'anno. 
In pratica, essi dividevano le kalendre in due fasi, una discendente, le kalendre che va in zo, l'altra ascendente, le Kalendre che va in su, ciascuna di dodici giorni. Ad ogni singolo giorno, facevano corrispondere il mese che risulta dall'ordine progressivo dell'anno, e se la fase discendente mostrava gli stessi fenomeni atmosferici della fase ascendente, si otteneva la massima certezza nelle previsioni di tutto l'anno. 
In caso di incertezza o contrasto, i segni de S. Paolo scioglievano ogni dubbio. 

La luna 
La luna costituiva un punto di riferimento continuo dell'osservazione meteorologica contadina, come spiega il detto: ogni giorno gh'è na luna, ogni giorno se ghe ne impara una
Sull'influsso lunare non esistono soltanto degli enunciati di principio o delle affermazioni generiche, ma si possono trovare nella tradizione orale precise indicazioni sulle applicazioni pratiche del ciclo lunare alle diverse coltivazioni. 
La luna comanda ai cristiani, a le bestie e a la roba, ammonisce il detto. 

Mossa 
Quando il tempo cambia, secondo la mentalità contadina el se move, si muove. Quindi ogni cambiamento meteorologico è preceduto da una mossa, che può essere indicata dal vento, dalle nuvole sull'orizzonte, da particolari aspetti della luna, zercolo distante o darente, il cerchioni vapori vicino o lontano,ecc. 

Le previsioni 
Le "previsioni" meteorologiche dei contadini si basano nella loro più profonda verità sull'osservazione della periodicità dei fenomeni atmosferici su un dato territorio che influiscono sulla temperatura, provocando delle "regressioni" che possono essere calcolate con relativa facilità. 
I contadini dividono l'anno in due periodi, el fredo e el caldo. Questo comporta una regola precisa: nella prima parte dell'anno, la temperatura va, normalmente, dal minimo (epifania el pi gran fredo che ghe sia), al massimo (S. Lorenzo de la gran calura), ma la valutazione delle medie stagionali di un certo periodo denunciano fenomeni di regressione. Così nella seconda parte, dal massimo (S. Lorenzo) al minimo (Epifania) si hanno condizioni e fattori retrogradi (S.Michele, S.Martino, ecc.). 
Anche il più elementare testo ci spiega che el caldo e el fredo dipendono dalla intensità delle radiazioni solari in rapporto diretto o indiretto con altri fattori che portano modificazioni e cambiamenti a volte sostanziali. L'attenta osservazione di chi, come il contadino, al tempo sapeva legata la propria sopravvivenza, aveva individuato questi periodi, indicandone anche i fattori e gli elementi atmosferici del cambiamento o delle mutazioni, li ha classificati secondo una logica empirica "affettiva", in cui l'uomo si sente coinvolto in modo totale. 

La Quarantia 
La quarantia segna la meteorologia compresa in un arco di tempo di quaranta giorni. 
Nel concetto di quarantia si sommano l'osservazione meteorologica dei periodi brevi con l'interpretazione delle fasi lunari. Per questo la quarantia resta legata ai fenomeni atmosferici considerati per se stessi, sia alla loro dipendenza a fattori concomitanti. 
Infatti, le quarantie possono sovrapporsi e anche annullarsi, e rappresentano un modello di lettura dei vari influssi naturali sulla formazione del tempo. E' evidente la loro importanza sul piano delle previsioni meteorologiche sull'andamento dei raccolti e sui comportamenti sociali. Le indicazioni della quarantia"segnavano" la crescita dell'erba, il ritorno degli uccelli, la maturazione del grano, il periodo delle semine, come le regole precise che comandavano l'uso delle scorte della stalla, della casa, le scadenze contrattuali e tanti altri aspetti della vita contadina. 
I mutamenti meteorologici all'interno della quarantia erano previsti da segni particolari, individuabili attraverso l'osservazione e l'esperienza. Riferiti, in genere, al nome del santo di cui si celebrava la ricorrenza, dominati sempre e comunque dalla potestà de la luna. Che variava con le fasi lunari, con el farse de la luna
La quarantia rappresenta per l'uomo dei campi una breve "stagione" con caratteristiche di massima che rispondono alla logica delle possibilità. I detti proverbiali sono una guida interpretativa del tempo, ma la loro esatta lettura viene affidata all'esperienza e all'osservazione. Infatti, "se" e "quando" sono i modi di introdurre ogni espressione riferibile a na moesta, un cambiamento del tempo. Secondo l'esatta interpretazione contadina, i proverbi meteorologici devono essere considerati delle "leggi" empiriche, non delle "formule" dal sapore "magico", né misurare l'ambivalenza di certi modi di dire come uno strano gioco degli "antichi padri" sul tempo. Le quarantie sono dodici, considerando che le quarantie di S. Urbano e di S. Gallo sono doppie. Vengono esposte seguendo il calendario comune. 

1) La quarantia de la zeriola (Candelora)
(2 febbraio - 13 marzo)
segna la fine "stagionale" dell'inverno: a Zeriola de l'inverno semo fora, l'inverno è finito, ma l'aprirsi della buona stagione trova difficoltà per il tempo incerto (tra nugolo e seren).

2) La quarantia de S. Matia
(23 febbraio - 3 aprile)
determinata da una prevalenza del vento sugli altri elementi atmosferici: se venta a S. Matia, venta par na quarantia.

3) La quarantia de S, Gregorio
(12 marzo - 18/20 aprile)
in pratica un prolungamento di quella di S. Matia, sempre che si verifichi la coincidenza meteorologica del tri e del dodase marzo, del tre e del dodici: se venta al tri e al dodese.

4) La quarantia dei Quaranta Santi
(11 marzo - 18 aprile)
con la predominanza della pioggia e del vento e punte regressive della temperatura: se piove al dì dei Quaranta Santi aqua par altrettanti.

5) La quarantia dei tri aprilanti
(3 aprile - 13 maggio)
può svilupparsi in concomitanza delle quarantine precedenti, che sono ancora in atto: quella dei venti (quarantia de S. Gregorio) e quella della pioggia (quarantia dei Quaranta Santi). Tale influenza si collega e accentua ai fenomeni regressivi della temperatura delle zinquine che attestano un tempo di burrasca. Come i tri apreilanti, quarante de somiglianti.

6) Le do quarantie de Sant'Urban
(15 maggio -24/25 luglio)
con prevalenza regressiva della temperatura nella prima fase, i setoni de maio (7 / 17 / 27), detta nell'ultima parte inverno de i cavalieri (secondo e terzo seton), periodo che chiude la prima quarantia de Sant'Urban; con predominio della calura in giugno, seconda quarantia de Sant'Urban, fino al segno de San JoanSant'Urban tempo bon par el gran.

7) La quarantia de Sant'Ana
(26 luglio - 2 settembre)
caratterizzata da "pioggia periodica": l'I (5 agosto); la I, dopo la calura (10 agosto);l'I (15 agosto), oppure I (16 agosto); l'I (25 agosto).

8) La quarantia de S. Gregorion (Gregorio Magno)
(3 settembre - 15 ottobre)
detta anche quarantia de la luna settembrina, con l'istadela de S. Michele, e il tempo relativamente secco all'inizio (sete brènte) e piogge intense alla fine(brentòn)Se piove a San Gregoriòn, sete brente e un brentòn.

9) Le do quarantie de S.Gal
(16 ottobre -25 dicembre)
la prima determinata dall'influsso dei "Santi", in particolare da quelli di novembre (Ognisanti, San Colombano, S. Clemente, S. Caterina);la seconda, dallaquarantia de S. Bibiana che, tuttavia, non appare determinante. El tempo de S. Gal dura fin a Nadal.

10) la quarantia de S. Bibiana
(2 dicembre - 12 gennaio)
che sottolinea una progressione del freddo, sotto l'influsso di fattori atmosferici che possono portare la neve a San Nicola (6 dicembre) e gran freddo a S. Lucia (13 dicembre). A Santa Luzia el fredo crùzia. A seconda delle coincidenze delle previsioni tra la prima fase delle kalendre (1-12 gennaio) e la seconda (13 -24 gennaio) la quarantia può durare ancora na settimana, cioè fino al 20 gennaio, quando inizia la zinquina prima dei segni de S. PaoloSe piove a S. Bibiana, piove quaranta di e na settimana.

Segni 
Ci sono, nel discorso meteorologico contadino, delle espressioni che possono far capire con precisione il significato di "segno": gh'è el tempo che segna, il tempo che cambia; l'è in mossa; oppure, gh'è de la mossa, si intravedono gli elementi di un cambiamento, come la luna in moia, la luna nuova in un periodo umido, zercolo distante o darente, il cerchio di vapori attorno alla luna, i fumi, il comportamento degli animali, lo "stato" degli oggetti e così via. 
Il "segno" vero e proprio è tuttavia sempre astronomico: el tempo el s'ha messo in stelagh'è le stele fissela luna ciara; oppure meteorologico, el vento de S. Matial'aqua de Sant'Ananibia alta, nibia bassa, ecc., mentre tutte le altre indicazioni legate alla previsione del tempo sono solamente mostre, avvertimenti, indicazioni, anche se nel bersaglio delle conoscenze comuni vengono detti "segni". 
Il segno quindi indica l'elemento naturale che può favorire o determinare un mutamento del tempo ed è l'espressione dell'osservazione meteorologica contingente, raffrontata all'esperienza, alle "regole" di interpretazione della tradizione orale. 
I "segni" più noti e popolari sono, senza alcun dubbio, i segni de S. Paolo, comunemente detti S. Paolo de i segni, quasi a imputare alla taumaturgia dell'Apostolo l'influsso che essi possono avere sulle condizioni del tempo di un intero anno. 


Bibliografia
Coltro D. (1980) Sapienza del tempo contadino, Venezia, pp. 69-71.

Tratto da Il calendario rituale contadino
di Antonio Todaro