domenica 11 ottobre 2015

Il TEMPO Contadino

Nel seguire queste tracce, si arriva a percorrere una piccola storia locale che sollecita a sbirciare tra i prodotti dei campi e del cortile e i cibi preparati, elaborati, consumati, vissuti e pensati. Ne emerge una successione ciclica di cibi che si andavano ripetendo ogni anno durante i periodi freddi e caldi, secchi e piovosi, nel momento delle semine o dei raccolti: una realtà immateriale che coincide con quello che ora definiamo tempo e che il contadino era riuscito ad organizzare scandendo stagionalmente feste e cerimonie civili, religiose e popolari, proverbi, fiabe, canti. Un rituale solidale con il fluire ciclico degli eventi agrari, dei ritmi vitali della natura, delle conoscenze astronomiche suggerite dalla ciclicità della luna e degli astri, dalla posizione mutevole del sole, dall'avvicendarsi delle stagioni e dei lavori agricoli. Non solo. Ma anche osservando il ritorno di una data selvaggina, il germogliare di una data pianta o l'aratura di un certo suolo. Questo insieme naturale, concreto, operativo di osservazioni si è andato sovrapponendo fino a tessere l'ordito di un calendario che rappresenta "la massima espressione dello sforzo umano di organizzare il tempo" (Grimaldi, 1993, p. ). In questo fluire si sovrappongono il tempo profano, segnato dalla rinascita delle piante, dalla fioritura degli alberi, dalla maturazione del grano, il tempo sacro, contrassegnato da una trama simbolica segnata da un insieme di culti agrari che hanno consentito all'uomo di organizzarsi in società, e la memoria orale, che rappresentava "uno strumento di conoscenze e informazioni strettamente legate agli usi e costumi, ai comportamenti individuali e sociali, da costituire un punto di riferimento indispensabile per la comprensione della vita e del lavoro dell'uomo" (Coltro, 1980, p.5). 

"Nel fondo dell'animo del contadino resta sempre una religione naturale che aveva due poli: ad un estremo vi è la speranza nella Provvidenza, all'altro, il timore per tutto quanto poteva compromettere i raccolti, la vita delle cose e degli stessi membri della famiglia. Per questo pregavano Dio, i santi e la Madonna e chiedevano loro di salvare i raccolti con una successioni di formule, cantilene, rituali, invocazioni che ricordano talora vecchi culti dal sapore profondamente pagano."
(Sant'Angelo di Piove, Giugno 1961, Carlo, anni 67, maestro elementare)

Lo testimoniano i documenti d'archivio, le vecchie storie che ricordano le previsioni dell'annata agraria, le benedizioni, le preghiere, le processioni, le messe, le sagre, le rogazioni, le questue, i tridui, le abitudini produttive, i proverbi e i cibi che si succedevano nel corso dei mesi in occasione delle varie ricorrenze. E anche i lunari scritti quale "Il lunario del Contadino Poiana Maggiore" che elenca il variare del tempo giorno dopo giorno (tanto che si finiva per dire, el lo gà dito anca el Poiana") e, andando a ritroso i "Pregiudizi degli influssi lunari sulla vegetazione" (1795) di Filippo Re, il "Discorso sopra gli influssi delle stelle"(Modena, 1778) di Padre Vincenzo Cattelan, il "De influxu siderum in corpora terrestria" (1764). E ora c'è pure la società odierna che, nel suo affrettato scorrere, ha finito per corrodere i ricordi dei lunari personali che si erano andati intrecciando agli eventi della vita quotidiana dei singoli contadini attratti dalla logica interna delle diverse fasi lunari, da un proprio pensiero meteorologico evoluto in sintonia con il divenire dell'anno e con alcune feste locali, religiose e profane. 

In Saccisica, l'addomesticamento del tempo e dello spazio ha varcato disinvoltamente i secoli e le epoche. A coniarlo fu l'esperienza di una lunga catena di generazioni che, dopo secoli e millenni, continuano ad essere qui a raccontare una loro storia ricca di tenacia, di pazienza, di una gran voglia di radicarsi e di rimanere stabilendo un contatto fra ieri e oggi. Un ieri in cui ogni lavoro, ogni alba e ogni tramonto erano un'occasione per ritrovare santi e stagioni presenti in una fede diffusa come una macchia d'inchiostro che si disperde, si sposta, scompare e ricompare dal fondo di una spessa carta assorbente con una sua enigmatica trama sovrastata dal sole e dall'osservazione dei ritmi della luna. 
Di questo astro Plinio ( sec) scriveva: 

"Polimorfa, essa ha torturato con il dubbio la mente dei suoi osservatori, incapaci di sopportare che proprio l'astro più vicino restasse sconosciuto; sempre in uguali, ora arrotondata in un disco; macchiata e, di colpo, sfolgorante di luce, sconfinata con il suo cerchio pieno e, d'un tratto, annientata; a volte veglia notti intere, altre volte appare sul tardi, e aiuta la luce del sole per una parte del giorno; in eclisse e tuttavia visibile, a fine mese è celata, ma non si crede a un'eclissi; ora è bassa sulla terra, ora elevatissima, e neppure in modo costante, ma talora accostata alla volta celeste, talora prossima alle montagne, ora alzata verso il nord, ora discesa a sud"
(II, 41-43).

Un periodare che si è andato ampiamente distendendo anche nella vita quotidiana del contadino di questa terra contadina e che ha finito per fornirgli informazioni, suggerirgli un ampio ed articolato sistema di conoscenze di eventi naturali e di rituali, in parte laici, di provenienza nordica (1° febbraio, 1° maggio, 1° agosto, 1° novembre), in parte cristiani (25 dicembre- Natale, 1° gennaio-capodanno, 6 gennaio- Epifania, Assunzione-15 agosto, tutti i Santi-1° novembre, il giorno dei morti-2 novembre), che avvengono in date fisse e che seguono il corso del sole, e con altre feste mobili che alludono alla Passione, Morte, Resurrezione di Cristo e che si riferiscono al corso della luna. La principale festa mobile è quella di Pasqua, che cade dopo il 21 marzo (equinozio di primavera) e avviene nella domenica immediatamente successiva al primo plenilunio primaverile. 

"La prima data possibile per la Pasqua dei cristiani era perciò il 22 marzo, che è la scadenza pasquale più alta, detta in chiave anteriore. Grazie al gioco della luna sull'anno tropico, Pasqua cambierà tra questa chiave anteriore e la sua scadenza più bassa sarà il 25 aprile"
(Gaibagnet, Lajoux, 1985, p. 69, n. 6).

"Nella sua genesi remota, la pasqua si riferiva a un rito ebraico di transumanza che ha lasciato tracce evidenti nella pasqua ebraica codificata nel capitolo 12 del libro biblico dell'Esodo. Tale evento avveniva in primavera, nel periodo di marzo-aprile, ed era vincolato al plenilunio primaverile (il 14 del mese di Nisan)."
(Gorgo, aprile 1959, don Giacomo Zancanaro, parroco dal 1926).

Questa data è l'asse portante del calendario cristiano e condiziona la cadenza del tempo delle feste mobili cristiane che la precedono e la seguono. 
Feste prima di Pasqua: Settuagesima (settima domenica prima della domenica di Passione, 63 giorni prima di Pasqua); le Ceneri (mercoledì, primo giorno di Quaresima; il giorno successivo al martedì grasso, che è l'ultimo di carnevale, 46 giorni prima di Pasqua), prima domenica di Quaresima, 42 giorni prima di Pasqua); domenica di Passione (14 giorni prima di Pasqua); domenica delle Palme o dell'Olivo (7 giorni prima di Pasqua). 
Pasqua di Resurrezione
Festa dopo Pasqua: Ascensione ( domenica, 39 giorni dopo Pasqua; Pentecoste detta anche Pasqua di rose, domenica, 49 giorni dopo Pasqua); SS.Trinità(domenica, 56 giorni dopo Pasqua); Corpus Domini (giovedì), 60 giorni dopo Pasqua. 

"Erano feste mobili anche le quattro tempora (ossia le quattro stagioni) che cadevano nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato, rispettivamente dopo la prima domenica di quaresima, dopo la Pentecoste, dopo il 14 settembre, giorno dell'esaltazione della Croce, e dopo la terza domenica dell'Avvento. L'Avvento era il tempo di preparazione alla festa di Natale e comprendeva le quattro domeniche che precedevano la domenica in cui si festeggiava la venuta del Redentore"
(Collino, 1928, pp. 30-31.

Sono date, feste che, nel loro susseguirsi costringono a sfogliare il proprio archivio mentale e a collaborare alla narrazione ricordando scene viste, canti ascoltati, libri letti, eventi che la vita ha messo sotto gli occhi, cogliendo gli snodi fondamentali che scandivano la penuria e l'incertezza di molteplici vite e il repertorio degli antichi mestieri. Date che guidano come fili preziosi nel labirinto dei ricordi perduti, da cercare con pazienza o come una enorme madeleine dove c'è sempre una briciola per tutti. Anche per chi in Saccisica non c'è mai stato e non ha visto mai niente. Talora sono ricordi intensi, commossi, ironici, surreali, ricchi di rimandi tra il loro passato e un nostro presente sempre più affrettato. Un modo per raccontare i contadini del passato, le loro ansie, gli estri, le passioni, le loro idee del tempo. 

"Non parlavano mai di mesi e settimane; per loro era più "comodo" riferirsi al "tempo", alle "stagioni", intese come "periodi", "momenti". Vi era la stajon de la somena (marzo), la stajon di cavalieri (aprile-giugno), la stajon del tajare el fromento (giugno), la stajon de arare(agosto), la stajon de sunàre el fromenton o la stajon de la polenta (settembre), la stajon del vendemare (ottobre). E all'interno di questi si succedevano altre divisioni quali la quarantia, che il contadino contava mettendo insieme i 28-29 giorni delle quattro fasi di una lunazione e la prima fase della lunazione successiva. Questa successione era considerata dal contadino come una breve stagione, durante la quale si verificava un insieme di eventi atmosferici che erano determinanti per l'andamento dei lavori dei campi. Queste cadenze erano tenute a mente riferendosi ai santi che si veneravano in quel periodo e ricordando un insieme di proverbi che venivano tramandati di generazione in generazione"
(Civè, marzo 1959, Bruno Gallato, parroco dal 1954).

Al loro interno la saggezza popolare suggeriva i giorni del lavoro, i giorni delle feste, i giorni dei presagi e dei proverbi. Tutto ha finito per assumere un significato, un valore, un sapore che ha coinvolto anche la tavola, la cucina, la gastronomia di questa terra contadina che, in fondo, continua a raccontare una vicinanza che il tempo ha trasformato in ricordi. Chi invece aveva la fortuna di frequentare la scuola sape va a memoria una filastrocca in cui si accoppiava la successione dei mesi con un complicato ed astruso andamento del tempo durante le stagioni Gennaio mette ai monti la parrucca (cioè sulle vette delle montagne nevica), / Febbraio grandi e piccoli imbacucca, / Marzo libera il sol dalla prigionia / Aprile di bei fior infiora la via… 

Alcuni termini del tempo meteorologico del contadino

L'Anno 
L'anno del contadino iniziava l'undici di novembre, San Martino (da un San Martin a 'n'altro) e terminava il 10 di novembre dell'anno successivo. 
Nella cultura contadina questo concetto comprende le scadenze e le previsioni dell'annata agraria, gli avvenimenti più importanti dell' anno civile e tutto ciò che riguardava l'anno religioso. 

I comportamenti 
Dalle previsioni scaturiscono gli "insegnamenti" di carattere meteorologico, quindi i "comportamenti" sociali e individuali secondo le "regole" fissate nei detti proverbiali. Spesso, queste "regole" sono smentite dal "tempo" reale, dalle condizioni atmosferiche contingenti, ma la loro validità non muta di valore perché il contadino vi crede in quanto "tramandati", cioè frutto di esperienza antica. Caso mai è il "tempo" che non sta alla "regola"; infatti si dice che "el tempo no l'è pi quelo", non è più quello di una volta; che "no se capisse pi le stajon", le stagioni hanno mutato il loro corso,… 

Estate e inverno 
I contadini tendono a dividere i giorni dell'anno in due grandi periodi, l'istà e l'inverno, il tempo del caldo e il tempo del freddo, la bela e la bruta stajon. Una tale concezione elimina la divisione astronomica del tempo in quattro stagioni e lo stesso termine stajon riassume indissolubilmente il fatto meteorologico in sé e l'andamento della produzione agraria. Così, si chiama bela stajon il periodo di tempo che consente il lavoro e il raccolto; 'na bruta stajon, quella che non offre condizioni normali per attuare il ciclo vegetativo, dalle semine al raccolto. 

Le kalendre 
I primi ventiquattro giorni di gennaio sono chiamati kalendre e sono considerati endegari, indicatori del tempo che si avrà nel corso di tutto l'anno. 
Infatti, i contadini sono soliti trarre dalle condizioni meteorologiche di questi giorni un giudizio per prevedere l'andamento meteorologico del resto dell'anno. 
In pratica, essi dividevano le kalendre in due fasi, una discendente, le kalendre che va in zo, l'altra ascendente, le Kalendre che va in su, ciascuna di dodici giorni. Ad ogni singolo giorno, facevano corrispondere il mese che risulta dall'ordine progressivo dell'anno, e se la fase discendente mostrava gli stessi fenomeni atmosferici della fase ascendente, si otteneva la massima certezza nelle previsioni di tutto l'anno. 
In caso di incertezza o contrasto, i segni de S. Paolo scioglievano ogni dubbio. 

La luna 
La luna costituiva un punto di riferimento continuo dell'osservazione meteorologica contadina, come spiega il detto: ogni giorno gh'è na luna, ogni giorno se ghe ne impara una
Sull'influsso lunare non esistono soltanto degli enunciati di principio o delle affermazioni generiche, ma si possono trovare nella tradizione orale precise indicazioni sulle applicazioni pratiche del ciclo lunare alle diverse coltivazioni. 
La luna comanda ai cristiani, a le bestie e a la roba, ammonisce il detto. 

Mossa 
Quando il tempo cambia, secondo la mentalità contadina el se move, si muove. Quindi ogni cambiamento meteorologico è preceduto da una mossa, che può essere indicata dal vento, dalle nuvole sull'orizzonte, da particolari aspetti della luna, zercolo distante o darente, il cerchioni vapori vicino o lontano,ecc. 

Le previsioni 
Le "previsioni" meteorologiche dei contadini si basano nella loro più profonda verità sull'osservazione della periodicità dei fenomeni atmosferici su un dato territorio che influiscono sulla temperatura, provocando delle "regressioni" che possono essere calcolate con relativa facilità. 
I contadini dividono l'anno in due periodi, el fredo e el caldo. Questo comporta una regola precisa: nella prima parte dell'anno, la temperatura va, normalmente, dal minimo (epifania el pi gran fredo che ghe sia), al massimo (S. Lorenzo de la gran calura), ma la valutazione delle medie stagionali di un certo periodo denunciano fenomeni di regressione. Così nella seconda parte, dal massimo (S. Lorenzo) al minimo (Epifania) si hanno condizioni e fattori retrogradi (S.Michele, S.Martino, ecc.). 
Anche il più elementare testo ci spiega che el caldo e el fredo dipendono dalla intensità delle radiazioni solari in rapporto diretto o indiretto con altri fattori che portano modificazioni e cambiamenti a volte sostanziali. L'attenta osservazione di chi, come il contadino, al tempo sapeva legata la propria sopravvivenza, aveva individuato questi periodi, indicandone anche i fattori e gli elementi atmosferici del cambiamento o delle mutazioni, li ha classificati secondo una logica empirica "affettiva", in cui l'uomo si sente coinvolto in modo totale. 

La Quarantia 
La quarantia segna la meteorologia compresa in un arco di tempo di quaranta giorni. 
Nel concetto di quarantia si sommano l'osservazione meteorologica dei periodi brevi con l'interpretazione delle fasi lunari. Per questo la quarantia resta legata ai fenomeni atmosferici considerati per se stessi, sia alla loro dipendenza a fattori concomitanti. 
Infatti, le quarantie possono sovrapporsi e anche annullarsi, e rappresentano un modello di lettura dei vari influssi naturali sulla formazione del tempo. E' evidente la loro importanza sul piano delle previsioni meteorologiche sull'andamento dei raccolti e sui comportamenti sociali. Le indicazioni della quarantia"segnavano" la crescita dell'erba, il ritorno degli uccelli, la maturazione del grano, il periodo delle semine, come le regole precise che comandavano l'uso delle scorte della stalla, della casa, le scadenze contrattuali e tanti altri aspetti della vita contadina. 
I mutamenti meteorologici all'interno della quarantia erano previsti da segni particolari, individuabili attraverso l'osservazione e l'esperienza. Riferiti, in genere, al nome del santo di cui si celebrava la ricorrenza, dominati sempre e comunque dalla potestà de la luna. Che variava con le fasi lunari, con el farse de la luna
La quarantia rappresenta per l'uomo dei campi una breve "stagione" con caratteristiche di massima che rispondono alla logica delle possibilità. I detti proverbiali sono una guida interpretativa del tempo, ma la loro esatta lettura viene affidata all'esperienza e all'osservazione. Infatti, "se" e "quando" sono i modi di introdurre ogni espressione riferibile a na moesta, un cambiamento del tempo. Secondo l'esatta interpretazione contadina, i proverbi meteorologici devono essere considerati delle "leggi" empiriche, non delle "formule" dal sapore "magico", né misurare l'ambivalenza di certi modi di dire come uno strano gioco degli "antichi padri" sul tempo. Le quarantie sono dodici, considerando che le quarantie di S. Urbano e di S. Gallo sono doppie. Vengono esposte seguendo il calendario comune. 

1) La quarantia de la zeriola (Candelora)
(2 febbraio - 13 marzo)
segna la fine "stagionale" dell'inverno: a Zeriola de l'inverno semo fora, l'inverno è finito, ma l'aprirsi della buona stagione trova difficoltà per il tempo incerto (tra nugolo e seren).

2) La quarantia de S. Matia
(23 febbraio - 3 aprile)
determinata da una prevalenza del vento sugli altri elementi atmosferici: se venta a S. Matia, venta par na quarantia.

3) La quarantia de S, Gregorio
(12 marzo - 18/20 aprile)
in pratica un prolungamento di quella di S. Matia, sempre che si verifichi la coincidenza meteorologica del tri e del dodase marzo, del tre e del dodici: se venta al tri e al dodese.

4) La quarantia dei Quaranta Santi
(11 marzo - 18 aprile)
con la predominanza della pioggia e del vento e punte regressive della temperatura: se piove al dì dei Quaranta Santi aqua par altrettanti.

5) La quarantia dei tri aprilanti
(3 aprile - 13 maggio)
può svilupparsi in concomitanza delle quarantine precedenti, che sono ancora in atto: quella dei venti (quarantia de S. Gregorio) e quella della pioggia (quarantia dei Quaranta Santi). Tale influenza si collega e accentua ai fenomeni regressivi della temperatura delle zinquine che attestano un tempo di burrasca. Come i tri apreilanti, quarante de somiglianti.

6) Le do quarantie de Sant'Urban
(15 maggio -24/25 luglio)
con prevalenza regressiva della temperatura nella prima fase, i setoni de maio (7 / 17 / 27), detta nell'ultima parte inverno de i cavalieri (secondo e terzo seton), periodo che chiude la prima quarantia de Sant'Urban; con predominio della calura in giugno, seconda quarantia de Sant'Urban, fino al segno de San JoanSant'Urban tempo bon par el gran.

7) La quarantia de Sant'Ana
(26 luglio - 2 settembre)
caratterizzata da "pioggia periodica": l'I (5 agosto); la I, dopo la calura (10 agosto);l'I (15 agosto), oppure I (16 agosto); l'I (25 agosto).

8) La quarantia de S. Gregorion (Gregorio Magno)
(3 settembre - 15 ottobre)
detta anche quarantia de la luna settembrina, con l'istadela de S. Michele, e il tempo relativamente secco all'inizio (sete brènte) e piogge intense alla fine(brentòn)Se piove a San Gregoriòn, sete brente e un brentòn.

9) Le do quarantie de S.Gal
(16 ottobre -25 dicembre)
la prima determinata dall'influsso dei "Santi", in particolare da quelli di novembre (Ognisanti, San Colombano, S. Clemente, S. Caterina);la seconda, dallaquarantia de S. Bibiana che, tuttavia, non appare determinante. El tempo de S. Gal dura fin a Nadal.

10) la quarantia de S. Bibiana
(2 dicembre - 12 gennaio)
che sottolinea una progressione del freddo, sotto l'influsso di fattori atmosferici che possono portare la neve a San Nicola (6 dicembre) e gran freddo a S. Lucia (13 dicembre). A Santa Luzia el fredo crùzia. A seconda delle coincidenze delle previsioni tra la prima fase delle kalendre (1-12 gennaio) e la seconda (13 -24 gennaio) la quarantia può durare ancora na settimana, cioè fino al 20 gennaio, quando inizia la zinquina prima dei segni de S. PaoloSe piove a S. Bibiana, piove quaranta di e na settimana.

Segni 
Ci sono, nel discorso meteorologico contadino, delle espressioni che possono far capire con precisione il significato di "segno": gh'è el tempo che segna, il tempo che cambia; l'è in mossa; oppure, gh'è de la mossa, si intravedono gli elementi di un cambiamento, come la luna in moia, la luna nuova in un periodo umido, zercolo distante o darente, il cerchio di vapori attorno alla luna, i fumi, il comportamento degli animali, lo "stato" degli oggetti e così via. 
Il "segno" vero e proprio è tuttavia sempre astronomico: el tempo el s'ha messo in stelagh'è le stele fissela luna ciara; oppure meteorologico, el vento de S. Matial'aqua de Sant'Ananibia alta, nibia bassa, ecc., mentre tutte le altre indicazioni legate alla previsione del tempo sono solamente mostre, avvertimenti, indicazioni, anche se nel bersaglio delle conoscenze comuni vengono detti "segni". 
Il segno quindi indica l'elemento naturale che può favorire o determinare un mutamento del tempo ed è l'espressione dell'osservazione meteorologica contingente, raffrontata all'esperienza, alle "regole" di interpretazione della tradizione orale. 
I "segni" più noti e popolari sono, senza alcun dubbio, i segni de S. Paolo, comunemente detti S. Paolo de i segni, quasi a imputare alla taumaturgia dell'Apostolo l'influsso che essi possono avere sulle condizioni del tempo di un intero anno. 


Bibliografia
Coltro D. (1980) Sapienza del tempo contadino, Venezia, pp. 69-71.

Tratto da Il calendario rituale contadino
di Antonio Todaro

La CUCINA Contadina

I CIBI RITUALI VENETI NEL MESE DI NOVEMBRE

L’anno contadino non inizia il primo giorno di gennaio, bensì con la celebrazione dei Morti. Pochi giorni dopo, il giorno di San Martino, inizia l’anno agrario. Per questi motivi, la successione dei mesi rituali e tradizionali della cucina veneta inizia dal mese di novembre anzichè dai primi giorni di gennaio.
Pan_dei_mortiI cibi tradizionali della ricorrenza dei Morti sono, in tutto il mondo, i dolci. In Veneto, ad essi si sono aggiunti la zucca, le fave e le patate americane (patate dolci). Un tipico  dolce era il pan Trandotoconosciuto anche come il Pan dei Morti.
I dolci di Ognissanti sono il Tressian e i Ossi da Morto. Unendo alcuni di questi cibi rituali si dava vita a el piato dei morti, vicino al quale si accendeva ritualmente la candela, allo scopo di illuminare il ritorno dei cari defunti.
Nella cultura contadina veneta c’era la credenza che i morti, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, ritornassero a casa loro per sfamarsi. Si riservava loro così un piatto con gli stessi cibi consumati dai viventi, al fine di dar loro il benvenuto.
Durante la fase di preparazione del piatto si conferiva grande importanza al Brazadelon, la focaccia, poichè era credenza che i morti, nel modo di fare la pasta, riconoscessero la persona che l’aveva preparata.
semi_zuccaAnche le Faoline, le fave, le Miole de zuca, ovvero i semi di zucca, le patate americane e i maroni godevano di una larga diffusione e si consumavano per tutta la durata del periodo delle ricorrenze dei morti.
patate americaneIn tempi più recenti, era consuetudine lasciare un po’ di castagne e qualche patata sulla pietra del focolare (veniva così detto lasciare na sbrancà.
A novembre, il periodo dei marroni, si riteneva che bastasse portare due marroni in tasca per essere vaccinati contro l’influenza.
CastagnaccioLa farina di castagne era venduta dai fruttivendoli, ifrutaroi. Il Castagnaccio, col suo caratteristico colore che richiamava la cioccolata, ne rappresentava la dolce versione.
Esso era soprannominato anche Polentina de castagna, dato l’utilizzo della farina di castagne nelle zone montane per produrre la polenta.
A San Martino, secondo la tradizione veneta, si mangia il gallo, el galeto. Lo si cucina in umido (a poceto, o a pocio). Il gustoso poceto era frequentemente costituito da patate condite.
Nel veneziano, secondo la tradizione, per la gioia dei bambini si preparavano anche i colorati San Martin de pastafrolla.
Il 25 novembre, Santa Caterina, secondo la più antica tradizione veneta, di tira il collo all’oca. Dopo 24 ore veniva tagliata in quarti (detti Ochete), venivano salati e lasciati 8 giorni a ciapare el sale (assorbire il sale). Dopodichè tal pezzi si riponevano negli orci d’argilla e venivano conservati sotto l’unto d’oca, oppure sott’olio. Secondo la tradizione veneta, si potevano anche conservare anche le ochete arrostite.

PROVERBI contadini

* PROVERBI VENETI (Wikipedia)


* PROVERBI sul TEMPO


 
 
 


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* PROVERBI VENETI

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Il duro lavoro nei campi

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- Le scarpe d'on vilan no le farà mai bela peca- La polenta sta su la ponta del gomiero
- El vilan l'è largo de boca e streto de man
- Dove la siesa l'è basa, tutti passa
- I ani de la fame scominsia ne la gripia del bestiame
- Inte'i campi se vive, in casa se more
- A chi no vol far fadighe el teren ghe produse ortighe
- Ne can ne poro can sàra mai la porta
- El condadin che vende loame compra peoci
- El contadin come el can, chi lo bastona ghe leca la man
- El contadin l'è sempre sioro l'ano che vien
- La scuria salva dal fosso
- Drio la merda vien l'oro
- El fruto no casca lontan da l'albero
- Chi laora magna, chi no laora magna e beve
- Chi caressa la mula ciapa peade
- El campo no vien mai vecio
- A cambiar munaro se cambia ladro
- I nostri veci gà magna i caponi e ne ga lasà i proverbi
- On legno solo no arde
- Rama curta, vendema longa


El magnare

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- O de strame o de fen el stomego ga da esser pien- Anara lessa e bigolo tondo a la sera contenta el mondo
- La boca porta le gambe
- Chi no ga fame, o l'è malà o 'l ga magnà
- El capon xe sempre de stajon
- A tola no se vien veci
- L'ultimo goto l'è quelo che imbriaga
- Corpo pien anema consolà
- Co se ga fame tuto sa da bon


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             Proverbi sull'agricoltura, detti popolari sul coltivare la terra e la campagna, detti e proverbi sui contadini e la loro vita dura di agricoltori.

  • La ricchezza del contadino sta nelle braccia e chi ne vuole se ne faccia.
  • Fossi e capitagne benedicon le campagne.
  • Vanga e zappa non vuol digiuno.
  • Il concime fa il foraggio, ed il foraggio fa il concime.
  • Se d'aprile a potar vai, contadino, molta acqua beverai e poco vino.
  • Avaro agricoltor non fu mai ricco.
  • Il buon lavoratore rompe la cattiva annata.
  • Lavoratore buono, d'un podere ne fa due; lavoratore cattivo ne fa un mezzo.
  • Tre cose vuole il campo, buon lavoratore, buon seme, buon tempo.
  • Tanto vale l'uomo, tanto vale la sua terra.
  • Se ari male, peggio mieterai.
  • A chi non vuol far fatiche il terreno produce ortiche.
  • Chi ara terra bagnata, per tre anni l'ha dissipata.
  • Chi vuol un bel pagliaio lo pianti di febbraio.
  • Chi vuol d'avena un granaio la semini di febbraio.
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PROVERBI VENETI (Wikipedia):

A

  • A chi nasse sfortunai, ghe piove sul cul a star sentai.[1]
Chi è sfortunato, gli piove sul culo anche da seduto.
  • A dona che pianze, caval che sua, e ebreo che zura, no crederghe.[2]
Non credere alla donna che piange, al cavallo che suda e all'ebreo che giura.
  • A lavar la testa a l'aseno, se perde lissia e saon.[3]
A lavar la testa all'asino si perde acqua e sapone.
  • A oselo ingordo ghe crepa 'l gosso.[4]
All'uccello ingordo si rompe la gola.
  • A pagar e a morir, gh'è sempre tempo.[5]
Per pagare e per morire c'è sempre tempo.
  • Al'amigo pèlighe 'l figo, al nemigo 'l persego.[4]
All'amico pela il fico e al nemico la pesca.
Questo perché si pensava che la buccia del fico fosse dannosa mentre quella della pesca fosse salutare.
  • Amor che nasse in malatia, quando se guarisse el passa via.[6]
L'amore che nasce durante una malattia, finisce con la guarigione.
  • Amor de fradelo, amor da cortelo.[7]
Amore tra fratelli è amore di coltelli.
  • Amor fa amor e crudeltà consuma amor.[6]
L'amore crea amore e la crudeltà consuma l'amore.
  • Amor me fa portare le calze mole.[6]
L'amore mi fa portare le calze flosce.
L'amore fa dimagrire.
  • Amor no fa bogher la pignata.[6]
L'amore non fa bollire la pignata.
  • Amor no porta rispeto a nesun.[6]
L'amore non porta rispetto a nessuno.
  • Amor novo va e vien, amor veccio se mantien.[6]
L'amore nuovo va viene mentre quello vecchio rimane.
  • Amor veccio non fa ruzene.[6]
Amor vecchio non fa ruggine.
  • Amor xe orbo.[6]
L'amore è cieco.
  • Amor xe tossego.[6]
L'amore è tossico.
  • Aqua turbia, vadagno de pescatore.[8]
L'acqua sporca è un vantaggio per il pescatore.

B

  • Bei in fasse, brutti in strazze.[9]
Belli appena nati, brutti da grandi.
  • Bruti in fasse, bei in strasse.[9]
Brutti appena nati, belli da grandi.

C

  • Carta canta, vilan dormi.[10]
Quel che è scritto è quel che vale, mentre il contadino (che normalmente non sapeva scrivere) dorme.
  • Ceriola nevegarola, de l'inverno semo fora, Ceriola solarola, ne l'inverno semo ancora.[11]
Se nevica alla Ceriola (corrisponde al 2 febbraio) l'inverno finisce, ma se c'è il sole l'inverno dura più a lungo.
  • Chi desfa bosco e desfa pra', se fa dano e non lo sa.[12]
Chi rovina il bosco o il prato, fa il danno a se stesso e non lo sa.
  • Chi magna puina, poco camina.[4]
Chi mangia ricotta, non cammina tanto.
  • Chi maltrata le bestie, maltrata anca i cristiani.[13]
Chi maltratta le bestie, maltratta anche i cristiani.
  • Chi no ga cuor per le bestie, no lo ga gnanca per i cristiani.[13]
Chi non ha cuore per le bestie, non lo ha nemmeno per i cristiani.
  • Chi no se contenta de l'onesto, perde 'l manego e anca 'l cesto.[14]
Chi non si accontenta del giusto perde il manico e anche il cesto.
  • Chi rompe de veccio, paga de novo.[15]
Chi rompe il vecchio ripaga con il nuovo.
  • Chi spua sempre miel, ga sconto 'l fiel.[16]
Chi sputa miele, tiene nascosto il fiele.
  • Chi va al molin, s'infarina.[17]
Chi va al mulino, si infarina.
  • Chi vive sperando, more cagando.[18]
Chi vive nella speranza muore "nella merda".
  • Co 'l cavelo tira el bianchin, lassa la dona e tiente al vin.[19]
Quando i capelli cominciano a imbiancare, lascia la donna e datti al vino.
  • Co l'aqua toca al culo, s'impara a nuar.[20]
Quando l'acqua tocca il sedere, si impara a nuotare.

D

  • Da un segna' da Dio tre passi indrio, e dal zoto starghene oto.[9]
Dalle persone segnate da Dio stai tre passi dietro, e dallo zoppo stai a otto.
  • Da una dona a un molin no gh'è gran diferenza.[2]
Non c'è molta differenza tra una donna e un mulino.
La donna ha molte necessità anche prima del matrimonio, così come il mulino richiede molto lavoro prima di essere funzionante.
  • D'amor el gusto e 'l fogo de paglia, xe de l'istessa tagia.[6]
Il gusto dell'amore e il fuoco di paglia sono della stessa taglia.
  • Dio lassa far, ma no strafar.[15]
Dio ti lascia fare ma non strafare.
  • Do amori no se pol aver.[6]
Non si possono avere due amori.
  • Do done e un'oca fa un marcà".[2]
Due donne e un'oca fanno un mercato.
  • Dona, dano, malano tuto el tempo de l'ano.[2]
Donna danno, malanno per tutta la durata dell'anno.
  • Dona e legno fa perdere l'inzegno.[2]
La donna e il legno fanno perdere il cervello.
  • Dona se lagna, dona se dol, dona se amala, quando la vol.[2]
La donna si lagna, si duole e si ammala quando le pare.

E

  • El bianco e 'l rosso va e vien, e 'l zalo se mantien.[9]
Il bianco e il rosso vanno e vengono ma il giallo si mantiene.
Riferito al colore del volto, specie quello delle donne.
  • El cuor de le done xe fato a melon.[2]
Il cuore delle donne è fatto a spicchi come un melone.
  • El diavolo no vol sentir la quiabita.[21]
Il diavolo non vuole ascoltare l'orazione degli esorcisti.
  • El vin fa bon sangue[22]
Il vino fa bene al sangue (si intende anche l'umore).

F

  • Far e desfar xe tuto on laorar.[23]
Fare e disfare è tutto un lavorare

I

  • In casa de galantomeni prima le done e po i omeni.[24]
In casa di gente per bene prima le donne e dopo gli uomini.
  • I omeni i xe come i copi, i sè dà da bevare uno co l'altro.[25]
Gli uomini sono come le tegole, si danno da bere l'un con l'altro
  • I omeni se ciapa per la parola, i aseni per la cavezza.[26]
Gli uomini si prendono per la parola, gli asini per la cavezza.
  • I proverbi i xe la sapienza de l'omo.[27]
I proverbi sono la sapienza dell'uomo.

L

  • La dona de bon uso tende alla roca e al fuso.[2]
La donna di buone maniere adopera la rocca e il fuso.
  • La dona deve aver quatro m: matrona in strada, modesta in ciesa, massera in casa, e matrona in leto.[2]
La donna deve aver quattro m: matrona per strada, modesta in chiesa, massaia in casa, e matrona a letto.
  • La dona e la vaca, al pezo le se taca.[2]
La donna e la vacca si attaccano al peggio.
  • La dona ga più caprici che rici.[2]
La donna ha più capricci che ricci.
  • La dona ga più rici che cervelo.[2]
La donna ha più ricci che cervello.
  • La dona, per picola che la sia, la vince el diavolo in furbaria.[2]
La donna, per quanto possa essere piccola, batte il diavolo in furbizia.
  • La dona savia no ga né occi, né reccie.[2]
La donna saggia no ha né occhi né orecchie.
  • La dona va sogèta a quatro malatie a l'anno, e ognuna dura tre mesi.[2]
La donna ha quattro malattie all'anno e ognuna dura tre mesi.
  • La dona xe come la balanza, che la pende da quela parte che più la riceve.[2]
La donna è come la bilancia, pende dalla parte dove riceve di più.
  • La dona xe volubile per natura.[2]
La donna è volubile per natura.
  • La galina che canta ha fato el vovo.[28]
La gallina che canta ha fatto l'uovo.
La gallina nera fa l'uovo bianco.
  • La lengua de le done la xe come la forbese, o la tagia o la ponze.[2]
La lingua delle donne è come una forbice, o taglia, o punge.
  • La prima piova d'agosto rinfresca 'l bosco.[11]
La prima pioggia d'agosto rinfresca il bosco.
La speranza è verde.
  • Lagrime di donna, fontana di malizia.[2]
Lacrime di donna, fontana di malizia.
  • L'amor de carneval mor in quaresema.[6]
L'amore di carnevale finisce con la quaresima.
  • L'amor no pol star sconto.[6]
L'amore non può essere nascosto.
  • L'amor passa sette muri.[29]
L'amore passa attraverso sette muri.
  • L'amor xe come i busi in te le calze.[6]
L'amore è come i buchi nelle calze.
  • Le done ghe ne sa una carta più del diavolo.[2]
Le donne ne sanno una più del diavolo.
  • Le done, i cani e 'l bacalà, perché i se boni i ghe vol ben pestà.[2]
Donne, cani e baccalà, più li picchi più diventano buoni.
  • Le done no le ga altra arma che la lengua.[2]
Le donne non hanno altra arma che la lingua.
  • Le done se odia tra de ele.[2]
Le donne si odiano tra di loro.
  • Le done xe lunatiche.[2]
Le donne sono lunatiche.
  • L'Epifania tute le feste la scoa via.[11]
L'epifania porta via tutte le feste.
  • L'ista' de San Martin dura tre zorni e un pochetin.[11]
L'estate di San Martino dura tre giorni e poco ancora.

M

  • Marso suto e april bagnà beato 'l contadin che à semená.[11]
Marzo asciutto e aprile bagnato fa molto bene alla semina.
  • Megio el tacon, che sbregon.[30]
Meglio il rattoppo che la rottura.
Invita a rimediare al male nel miglior modo possibile e non lasciare andare tutto in rovina.
  • Megio fruar scarpe che nizioi.[23]
Meglio logarare le scarpe che le lenzuola.
  • Morto un Papa, se ghe ne fa un altro.[31]
Morto un Papa, ne fanno un altro.

N

  • Ne l'andar zo ogni santo agiuta.[32]
Quando si va giu' per la china ogni Santo puo' aiutare.
  • No gh'è sabo senza sol, né dona senza amor.[6]
Non c'è sabato senza sole, né donna senza amore.

P

  • Pan e nose magnar da Dose.[4]
Pane e noci mangiare da Doge.
  • Pecato confessà, l'è mezzo perdonà.[33]
Peccato confessato, mezzo perdonato.
  • Per amor no se sente dolor.[6]
Per amore non si prova dolore.
  • Per conosser furbo, ghe vol un furbo e mezo.[29]
Per freghare un furbo ci vuole un furbo e mezzo.
  • Per done, cani e aqua, i omeni se mazza.[2]
Per donne, cani e acqua gli uomini si ammazzano.
  • Per la gota, ghe vol el son de la campana rota.[34]
Per la gotta, ci vorrebbe il suono di una campana rotta.
Contro la gotta poco può l'arte.
  • Poco xe megio ghe gnente.[35]
Poco è meglio di niente.

Q

  • Quando che la merda monta in scagno, o che la spuzza o che la fa dano.[36]
Quando la merda (intesa come ambizione) sale sullo scranno (ovvero sale al potere), se non puzza fa danno.
  • Quel che no ingossa, ingrassa.[4]
Quello che non fa ci fa strangolare, ci ingrassa.
  • Quando 'l sol insaca Giove, no è Domenega che piove.[11]
Quando il sole tramonta tra le nubi il giovedì, pioverà entro domenica.
Quando il cielo è nuovoloso al tramonto, la pioggia è vicina.

R

  • Rosso dal mal pelo, cento diavoli per cavelo.[9]
Il rosso è cattivo e ha cento diavoli per capello.
  • Rosso de sera bon tenpo se spera; bianco de matina, bon tempo se incammina.[11]
Rosso di sera, bel tempo si spera; bianco di mattina, bel tempo si avvicina.

S

  • San Bastian con la viola in man.[11]
San Sebastiano (20 gennaio) con la viola in mano.
Sant'Agnese (21 gennaio) le lucertole vanno per siepi.
  • Sasso trato e parola dita no torna più indrìo.[28]
Sasso lanciato e parola detta non tornano indietro.
  • Se la dona la vuol, tuto la puol.[2]
Se la donna vuole, può tutto.
  • Se piove 'l dì de la Senza, el boaro perde la semenza.[11]
Se piove alla domenica dell'Ascensione, il boaro perde le sementi.
  • Sole de vero e aria de fessura, manda l'omo in sepoltura.[34]
Prendere il sole attraverso il vetro, e l'aria dalle fessure fa morire l'uomo.

T

  • Tacai a un ciodo ma vivi.[37]
Per poco ma vivi.
  • Tosse, amor e panzeta, no le se sconde in qualunque sito che se le meta.[6]
Tosse, amore e pancia non si possono nascondere in nessun posto.
  • Tre sievi dura un can, tre cani dura un cavalo, tre cavai dura un omo, e tre omeni dura un corvo.[12]
Un cane dura tre ceste, un cavallo dura tre cani, un uomo dura tre cavalli e un corvo dura tre uomini.
  • Tuti no pol star a messa vicin al prete.[29]
Non tutti possono ascoltare la messa vicino al prete.

U

  • Un papa e un persegar più de venticinqu' ani no i pol durar.[12]
I papi e i peschi non possono durare piu' di venticinque anni.
  • Una volta core el can e l'altra el lievro.[38]
Una volta corre il cane e una volta la lepre.